Il primo cenno al paese di Vezia si trova in un documento del 1297 riguardante i diritti fondiari del vescovo di Como sulle sue terre.
Nei documenti d’archivio in generale si cita il toponimo "Vescia", "Vetia", più raramente "Vecchia", "Veccia", "Vicia", "Vezo", che qualcuno fa derivare dalla leguminosa "veccia" (in latino Vicia sativa) largamente sfruttata un tempo in agricoltura sia per l’alimentazione umana sia per la produzione dei foraggi. Qualcun altro dal fungo "vescia" (appartenente al genere Lycoperdon).
L’arma che è ripresa da quella della famiglia Daldini è: D’argento alla veccia d’azzurro gambata e fogliata di verde movente dalla punta al capo di rosso alla croce d’argento. La croce ricorda l’appartenenza di Vezia al distretto di Lugano mentre la veccia, la leguminosa che si coltivava con l’orzo, il frumento, la segale ecc..
Sotto la dominazione svizzera il paese, con altri comuni come Morcote e Vico Morcote, Carona, Sonvico, Monteggio, Ponte, Carabietta e Ponte Tresa nel baliaggio di Lugano, era considerato terra separata cioè autonoma disponendo di autoamministrazione e autorità proprie. Il console godeva di notevoli poteri nella giurisdizione civile, e in parte in quella criminale semplice. Egli giudicava in primo grado. Le "cause maleficiose" invece, cioè quelle punite con pene corporali o capitali, erano di pertinenza del capitano reggente di Lugano. I ricorsi nelle cause civili passavano direttamente dal console al sindacato, nelle cause criminali al capitano. Vezia era anche esente del tributo annuo da versare al sindacato. Solo in caso di spese in tempo di guerra o di peste doveva pagare una certa somma alla Comunità di Lugano.
Il comune doveva anche contribuire al sostentamento della Chiesa Collegiata e Plebana di S. Lorenzo di Lugano. Questo antico e mal sofferto aggravio gli fu tolto assieme ad altri comuni nel 1686.
Vezia, capoluogo del Circolo del distretto di Lugano e sede oggi della Giudicatura di Pace, si divideva nell’Ottocento in Vezia di dentro e Vezia di fuori. Comunque già in un documento del 1591 si ricorda che attorno o nelle vicinanze di San Martino vi risiedevano 18 famiglie e che la Comunità di Vezia era divisa in tre parti (frazioni): la prima parte sicuramente sul colle di San Martino, la seconda ravvisabile nel nucleo storico e la terza nell’attuale Ca’ del Caccia. Verso la metà del 1800 Vezia contava 270 anime. Attualmente 1600 circa.
Era allora ancora inserito nella civiltà rurale: circondato da vigneti, campi e pascoli, con stalle e masserie. "Il territorio era dei più pingui e dei meglio coltivati del distretto". Ma ora che il paese si è lasciato prendere dal progresso, queste divisioni sono scomparse. La storia e l’uomo ne hanno mutato il volto. Solo il nucleo storico con le case tutte vicine le une alle altre riflettono nell’insieme e percepiscono ancor oggi i lontani echi del passato. Ed è qui all’inizio di queste case e di queste corti e porticati che si erge la casa dove nacque Padre Agostino Daldini (1817-1895), al secolo Gioachino, insigne botanico, conosciuto internazionalmente. Sulla sua facciata fanno bella mostra i grandi mosaici, pieni di luce e colori, di Raffaello Somazzi, raffiguranti i simboli dei quattro evangelisti. Vi figura pure la lapide marmorea del 1946 che ricorda i 50 anni della morte dell’illustre Cappuccino. A sua memoria la Comunità gli dedicò la via che attraversa il nucleo.
Di particolare rilevanza storico-culturale è anche l’imponente Villa Negroni-Prati, ai tempi Villa Morosini, eretta attorno alla metà del Settecento, ora proprietà del comune di Lugano, sede del prestigioso Centro di Studi Bancari dal 1989. Essa fu dimora tutta penetrata di spiriti eroici e romantici. Nella cappella (mausoleo) fatta erigere dalla famiglia Morosini (sec. XVIII) si conservò per anni il corpo del ventenne patriota Emilio Morosini(1831-1849), caduto con Enrico Dandolo e Luciano Manara nel 1849 per la difesa della Repubblica romana. Qui si custodì anche fino al 1895 il cuore imbalsamato, e chiuso in una teca d’argento, dell’eroe nazionale polacco Taddeo Kosciuszko, morto nel 1817 a Soletta, lasciato in testamento alla giovane Emilia, figlia di Francesco Saverio von Zeltner di Soletta, landfogto di Lugano nel biennio 1793-1794, la quale andò poi a nozze nel 1819 con Giovan Battista Morosini. Al generale polacco la Comunità di Vezia dedicò la strada che conduce a Cureglia.
Sulla collina del paese domina il piccolo oratorio della Madonna delle Grazie di San Martino, eretto probabilmente nel tardo settecento, ma che affonda le sue radici in epoche molto remote. Infatti la prima costruzione risale all’epoca carolingia, poi sostituita da un oratorio romanico e infine dall’attuale tardo-barocco. Resta comunque il fatto che la citazione più antica di oratorio di San Martino è del 1571 anno in cui fu sottoposta a Santa Maria di Comano. E’ convinzione tramandata nel popolo di Vezia e confermata dai vari rilevamenti archeologici che la collina abbia subito molte trasformazioni, anche sotto il profilo delle fortificazioni, e che l’oratorio sorgesse quindi su resti di un antico maniero di cui si vedono ancor oggi i segni visibili nei siti attorno alla sommità del colle. Forse tra questi anche le rovine di alcuni edifici che nel medioevo segnalavano la presenza del castello. Nell’interno della chiesetta figura un dipinto cinquecentesco di sapore leonardesco rappresentante la Madonna.
Attorno o poco dopo l’anno 1600 gli uomini di Vezia pensarono di costruire una chiesa più comoda e più vicina per non recarsi lassù in San Martino poiché tanto il prete come il devoto si lagnavano della lontananza. La prima menzione risale al 1616. Essa fu intitolata a Santa Maria Annunciata e veniva poi eretta in parrocchia autonoma con cappellania nel 1653 svincolandosi così anche dalla Chiesa matrice di San Lorenzo di Lugano da cui dipendeva già con San Martino dal lontano 1468. La chiesa ottenne l’attuale aspetto nel 1800 circa. Subì ripetuti restauri. Sulla volta figura un affresco di autore ignoto raffigurante l’Annunciazione (fine 1800 - inizio 1900). Una bella copia della tela di Giovan Battista Crespi detto il Cerano (1567/68 - 1632) è conservata dietro l’altare maggiore e raffigura anch’essa l’Annunciazione. L’originale è custodito in Santa Maria presso San Celso a Milano.
a cura del Prof. Pier Riccardo Frigeri (1918-2005)
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